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La lotta ai cambiamenti climatici e il meccanismo CBAM

L’Unione Europea ha sempre ricoperto un ruolo guida a livello mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici. Fin dalla fine degli anni ’90 del secolo scorso sono stati adottati numerosi provvedimenti, alcuni dei quali hanno inciso anche in maniera significativa sulle attività industriali definite “ad alta intensità di carbonio”. Si tratta di attività che, per le caratteristiche dei processi produttivi e/o per l’elevata quantità di energia che i processi stessi richiedono, causano l’emissione di grandi quantità di gas ad effetto serra.

L’antefatto: la Direttiva EU ETS
La Direttiva 2003/07/CE (nota anche come Direttiva EU ETS), pubblicata a ottobre 2003 e in vigore dal 2005, istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra all’interno della Comunità Europea. Si è trattato di una svolta epocale che ha trasformato il tema delle emissioni climalteranti da un aspetto puramente ambientale ad una questione economica. In sintesi, i gestori degli impianti efficienti si trovano con un surplus monetizzabile, mentre gli impianti meno efficienti devono acquistare un certo numero di “quote” (una quota corrisponde a una tonnellata di CO2 emessa in atmosfera). Il meccanismo prevede una riduzione progressiva delle quote attribuite a titolo gratuito e, pertanto, costi in progressivo aumento anche per gli impianti più virtuosi. I meccanismi di rendicontazione (calcolo delle emissioni) e di attribuzione delle quote a titolo gratuito sono descritte da appositi Regolamenti europei. Tra l’altro è previsto che tutte le comunicazioni che il gestore trasmette all’Autorità Competente istituita a livello nazionale siano verificate da un organismo di parte terza accreditato. In una prima fase l’accreditamento dei verificatori era direttamene in capo all’Autorità Nazionale Competente, ma, in seguito, è passato agli enti nazionali di accreditamento e quindi, per l’Italia, ad Accredia.

Il Carbon Leakage
Dopo un periodo iniziale in cui vi era abbondanza di “quote”, la riduzione progressiva dei quantitativi disponibili e il conseguente aumento dei prezzi, hanno portato il management delle industrie a includere le tematiche legate alle emissioni di carbonio tra gli elementi che condizionano le scelte di business. Questo ha portato a rivedere i mix di prodotti offerti al mercato e le priorità negli investimenti.
Il meccanismo sopra descritto introduce il rischio detto “Carbon Leakage”, termine che si potrebbe tradurre come “fuga a causa del carbonio”. I gestori potrebbero essere tentati di spostare la produzione al di fuori dei confini europei, dove il meccanismo dell’EU ETS non si applica. La Direttiva prevede meccanismi di compensazione finalizzati a contenere il fenomeno, ma alcuni settori industriali sono comunque toccati da una concorrenza extra EU; per esempio, i produttori di cemento italiani risentono della concorrenza di cementi prodotti a partire da clinker proveniente dal Nordafrica o dalla Turchia.

Il Regolamento CBAM e le fasi di attuazione
Per proseguire il percorso di riduzione delle emissioni fossili e per contrastare il “dumping climatico”, nel 2023 la Comunità Europea ha varato il Regolamento 2023/956 che introduce il CBAM, acronimo che identifica il Carbon Border Adjustment Mechanism.
Il Regolamento identifica una serie di categorie di prodotti: cemento, energia elettrica, concimi, ghisa, ferro e acciaio, alluminio, sostanze chimiche (idrogeno) per i quali, in caso di importazione da un Paese non facente parte dell’Unione Europea, si applica l’obbligo di comunicare sia il quantitativo di merce importata, sia “le emissioni totali incorporate” nella merce stessa, cioè la quantità di gas serra emessi per la produzione dei beni. L’importatore dovrà poi “restituire” una quantità di “certificati CBAM” pari alle emissioni generate.
I certificati CBAM saranno venduti dalla Comunità Europea sulla base di aste il cui prezzo di partenza sarà basato sul valore medio di scambio delle quote EU ETS nel periodo precedente all’asta stessa. Lo scopo è allineare i costi a carico dei produttori extraeuropei con quelli sostenuti dai produttori comunitari. I proventi delle aste confluiranno in un fondo utilizzato per la realizzazione di interventi volti a contrastare gli effetti del cambiamento climatico.
L’obiezione più comune all’applicazione di CBAM e che i costi aggiuntivi saranno scaricati sul prezzo di vendita e, in definitiva, sulle tasche dei cittadini europei. Non bisogna tuttavia dimenticare che la delocalizzazione comporta la perdita di posti di lavoro e quindi un danno a tutta l’economia della Comunità Europea. L’applicazione è progressiva e il meccanismo entrerà e regime a partire del 2027 in riferimento ai prodotti importati nel 2026.
La fase transitoria è già cominciata: entro il 31 gennaio 2024 gli importatori hanno dovuto comunicare, attraverso un apposito portale, la quantità di prodotti e di emissioni ad essi collegate, che hanno varcato la frontiera della Comunità Europea nell’ultimo trimestre del 2023. Tale comunicazione dovrà essere inviata con cadenza trimestrale.
Per il momento non è previsto alcun obbligo legato alla restituzione ai certificati CBAM, né è previsto l’intervento di un verificatore che confermi la correttezza delle informazioni comunicate. Si stratta di un passaggio sperimentale che consentirà di acquisire dati e identificare criticità che sicuramente emergeranno in un processo così complesso.

Verifica di parte terza e accreditamento
Per i prodotti importati a partire dal 1° gennaio 2026 la comunicazione dovrà essere accompagnata da una Dichiarazione di Verifica rilasciata da un verificatore accreditato. I requisiti dei verificatori sono gli stessi applicabile alle attività legate all’EU ETS. ICMQ è quindi già “attrezzato” per svolgere questo tipo di attività.
Per il calcolo delle emissioni connesse ai prodotti, il Regolamento CBAM demanda a una serie di regolamenti attuativi che sono ancora da pubblicare, ma che dovranno essere allineati alle metodologie già in uso per EU ETS. Una ulteriore complicazione sta nel fatto che, per quanto riguarda le importazioni si fa riferimento anche alle “merci complesse”, quei prodotti, cioè, che derivano da prodotti CBAM, ma che hanno subito ulteriori lavorazioni. In questo caso, sarà necessario sviluppare un metodo di calcolo che tenga conto del contributo portato da ciascuno degli elementi che entrano nella ricetta o nella distinta base.

Conclusioni
Come già successo per chi opera in Europa, i produttori si troveranno davanti alla necessità di integrare le considerazioni legate all’impronta di carbonio nei propri processi di business, da cui ne deriveranno modifiche profonde che si estenderanno anche ai prodotti venduti in parti di mondo extraeuropee.
Per quanto l’obbligo di comunicazione sia in capo all’importatore, che potrebbe essere una società commerciale, i dati di base dovranno essere forniti dell’impianto industriale presso cui avviene la produzione. I verificatori dovranno quindi attrezzarsi per svolgere la propria attività in Paesi extraeuropei e presso produttori che, in molti casi, non saranno pronti a dimostrare un approccio sistematico e documentato al calcolo e alla rendicontazione delle emissioni.
Non da ultimo, le autorità di regolamentazione dovranno rendere disponibili regole di verifica che siano, da un lato, solide e basate su evidenze scientifiche e, dall’altro, applicabili da parte di produttori di tutte le dimensioni.
Siamo di fronte a una grande sfida che potrebbe portare a un ulteriore passo sulla strada della decarbonizzazione, che è l’unica percorribile se vogliamo lasciare alle future generazioni un pianeta che sia un buon posto in cui vivere.

Leggi l'articolo impaginato su ICMQ Notizie n. 114

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