Le attività accreditate in Italia valgono più dell'industria del calcio
Il settore delle certificazioni, ispezioni, prove e tarature accreditate vale per l’economia italiana 4,2 miliardi di euro e occupa oltre 33mila addetti. Lorenzo Orsenigo, rappresentante degli organismi e dei laboratori, parla delle sue potenzialità.
Durante il lockdown, quando si discuteva se e quando riavviare il Campionato di calcio, il Presidente della FIGC Gravina lamentava che l’industria del calcio non si può fermare perché, oltre al valore sociale, contribuisce al PIL nazionale per oltre tre miliardi di euro. Dai dati che lo studio dell’Osservatorio Accredia ci fornisce, vediamo che il settore delle certificazioni, ispezioni, prove e tarature accreditate (cosiddetta industria TIC – Testing, Inspection, Certification) vale 4,2 miliardi di euro. Ciò significa che l’industria TIC vale ben di più del mondo del calcio”. Va dritto al punto, senza giri di parole, Lorenzo Orsenigo, rappresentante degli organismi e dei laboratori accreditati da Accredia. Ma senza soffermarsi solo sui dati. Perché il valore delle attività svolte sotto accreditamento va al di là dei numeri.
Secondo l’ultimo studio dell’Osservatorio Accredia realizzato con Prometeia, l’industria TIC vale 4,2 miliardi di euro. Eppure oggi c’è ancora poca consapevolezza del valore che le attività accreditate, dalle certificazioni alle ispezioni, dalle prove alle tarature, hanno nella vita di tutti i giorni…
Al di là del valore economico, che sicuramente è di notevole importanza per l’economia italiana, vorrei provare a soffermarmi sul “valore sociale” dell’attività TIC. La nostra realtà quotidiana è pervasa di servizi di prova e certificazione che forniscono garanzia a istituzioni, cittadini, imprese, favorendo la circolazione nel mercato di prodotti e servizi caratterizzati da prestazioni qualitative allineate alle aspettative comuni e che incidono positivamente sul nostro benessere e sulla nostra salute.
Basti pensare alle prove alle quali sono sottoposti molti prodotti di uso comune affinché non contengano sostanze nocive, alle caratteristiche di prodotti a uso medicale, alle prove sui dispostivi di sicurezza sul lavoro, alle verifiche sulle saldature dei componenti aereonautici, alle apparecchiature elettriche da utilizzare in aree potenzialmente esplosive come i distributori di benzina, alle caratteristiche di cibi e bevande, ecc… Potremmo continuare a fare l’elenco per una giornata intera e forse non sarebbe sufficiente. Non ci pensiamo, ma in ogni istante della nostra giornata veniamo a contatto con prodotti che sono stati sottoposti a prove e certificazioni.
E queste verifiche devono essere affidabili, eseguite con strumenti tarati, da personale competente e con procedure che garantiscano l’indipendenza e l’imparzialità di chi le esegue, è corretto?
È questo il ruolo dell’accreditamento, quello di fornire garanzia al Sistema che le prove e certificazioni siano affidabili e credibili. È quanto avviene quotidianamente ormai da alcuni decenni e che rappresenta la “normalità” del nostro mondo, quello che lo studio dell’Osservatorio Accredia ci dice valere 4,2 miliardi di euro. Sono convinto che l’industria TIC abbia un potenziale valore sociale da giocare nei prossimi anni che può essere inestimabile, che avrà impatto sui nostri figli e sulle generazioni future.
Può farci un esempio di questo impatto sul futuro delle attività accreditate?
Pensiamo alla sostenibilità. È sotto l’occhio di tutti il fallimento dell’ultimo vertice Cop25 a Madrid: gli interessi nazionali hanno prevalso sul bene comune. L’Europa è sicuramente il continente più all’avanguardia sul tema ambientale, tant’è che è stato varato il piano “European Green Deal”. Ma la sua implementazione ha costi elevatissimi che potrebbero avere come conseguenza l’esclusione dei prodotti europei dai mercati mondiali. Una soluzione che si potrebbe adottare sarebbe l’introduzione di una Sustainability Border Tax, ovvero dei dazi sull’importazione in Europa di prodotti che sono stati realizzati senza rispetto per l’ambiente e per le condizioni dei lavoratori. Si indurrebbero grandi potenze come India e Cina, ma anche gli Stati Uniti, a implementare criteri di sostenibilità nelle catene produttive.
E, in questo scenario, l’industria TIC avrebbe un valore fondamentale: attestare in maniera imparziale e con la necessaria competenza gli impatti dei prodotti che si affacciano sul nostro mercato, così come garantire che vengano messe in atto tutte le misure necessarie per rispettare i diritti dei lavoratori.
La certificazione e le prove di laboratorio, tanto più se accreditate, sono un utile sussidio al sistema regolatorio per attuare politiche che possano, oltre che difendere l’ambiente e il nostro pianeta, equiparare condizioni di produzione di beni e servizi e garantire, di conseguenza, una sana competizione commerciale.
Anche la strettissima attualità, legata alla pandemia di Covid-19, ha imposto un ripensamento serio sull’economia e sulla gestione dell’emergenza…
Dopo l’emergenza sanitaria da Covid, la parola d’ordine è “ripartenza”. Non possiamo, tuttavia, sottovalutare alcune carenze strutturali che, purtroppo, abbiamo in Italia. Pensiamo ai tempi di realizzazione delle opere pubbliche, incompatibili con i tempi di rendicontazione che chiede l’Europa per elargire i finanziamenti. Da qui l’altra parola chiave: “semplificazione”. Bisogna passare dalle prescrizioni alle prestazioni.
E poi, con dei controlli ex post, non avere scrupoli con coloro che con dolo hanno approfittato della posizione dominante, siano essi soggetti pubblici o privati. Bisogna creare delle Stazioni Appaltanti (e il maiuscolo non è un caso) che siano dotate di risorse adeguate, di strumenti idonei e che sappiano utilizzare le tecnologie digitali (comunemente chiamato BIM) per gestire l’appalto.
Gli strumenti per qualificare i soggetti pubblici e privati esistono, dalla certificazione del sistema di gestione BIM, alla certificazione dei Project Manager e dei BIM Manager, alla disponibilità di Envision Sustainability Professional che possono guidare i team di progetto.
E allora secondo Lei, cosa manca per realizzare tutto questo?
Manca il coraggio di prendere decisioni forti, da una parte perché la politica è debole e soggetta al consenso quotidiano, dall’altro perché esistono alcuni burocrati che vedono minato il proprio spazio di potere. Occorre una presa di coscienza della cosiddetta società civile, delle parti sociali e di quelle imprenditoriali che pretendano, in maniera forte, un cambio di passo. Non possiamo più aspettare.