CSRD: perché tutelare interessi di parte e non imparare dagli errori?
Entro l’estate dovrà essere recepita anche in Italia la Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD, che regolamenta in un modo nuovo la pubblicazione delle dichiarazioni di sostenibilità delle imprese. Tra le novità segnaliamo la necessità non solo di rendicontare quanto fatto, ma di valutare anche il rischio di impatti avversi futuri sui temi ESG (forward looking). Il che significa che non basterà più guardare la sostenibilità “dallo specchietto retrovisore”, ma si dovrà anche stimare il rischio che eventi negativi possano accadere in futuro. Inoltre la direttiva prevede che le rendicontazioni dovranno essere verificate da soggetti terzi, competenti e imparziali. Un’altra novità riguarda le verifiche, che potranno essere svolte, oltre che dai revisori legali, anche da organismi di certificazione di terza parte accreditati. Infatti, le competenze richieste ai revisori incaricati in materia di sostenibilità, che nulla hanno a che vedere con quelle di natura finanziaria, sono tradizionalmente possedute dagli organismi e risultano in linea con gli strumenti da loro utilizzati per svolgere le attività di certificazione.
Nei decreti di recepimento della direttiva a livello nazionale, quattro paesi hanno già colto questa opportunità: Francia, Spagna, Ungheria e Romania. E in Italia?
La bozza di decreto che è stata sottoposta a consultazione pubblica non prevede la possibilità delle verifiche da parte degli organismi di valutazione della conformità accreditati, stralciando quanto introdotto a livello europeo. Non si comprendono i motivi tecnici di questa scelta. A livello internazionale lo IAF – International Accreditation Forum, che raccoglie tutti gli enti mondiali di accreditamento, ha già pubblicato un apposito Position Paper “Corporate Sustainability Information” che stabilisce i criteri per la verifica delle rendicontazioni di sostenibilità. L’ISO, ente di normazione a livello mondiale, sta completando i lavori della norma ISO 14019 “Validation and verification of sustainability information“. Così come, del resto, esiste un sistema affidabile e credibile di controllo degli organismi di certificazione attraverso Accredia, l’ente nazionale di accreditamento al quale partecipano gran parte dei ministeri e che è sotto la sorveglianza del MIMIT. E nel cui ambito è anche previsto un sistema sanzionatorio per quegli organismi che non rispettino le regole. Il sistema è completo: c’è tutto.
E allora perché escludere gli organismi di certificazione accreditati? Perché in Italia si vuole regalare l'intero mercato a pochi soggetti, in particolare alle “big four”? Questa è la vera domanda politica, a prescindere da tutti gli aspetti tecnici. Assonime e Confindustria hanno chiesto al governo di aprire il mercato anche agli organismi di terza parte accreditati come previsto dalla Direttiva. E le aziende sono quelle che pagano il conto! Il regolatore europeo ha infatti introdotto l'utilizzo degli OdC accreditati per aumentare l'offerta e quindi calmierare i costi delle verifiche.
L’auspicio è che, anche questa volta, non si facciano scelte per salvaguardare gli interessi corporativi di una parte e non si guardi all’importanza della verifica che deve essere svolta. L’affidabilità e la credibilità delle rendicontazioni verificate dovrà essere elevata se non vogliamo sprecare un’occasione per migliorare davvero la sostenibilità delle imprese. Sembra proprio che la certificazione energetica degli edifici non abbia insegnato nulla: la sua inefficacia e inutilità sono sotto gli occhi di tutti.