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Greenwashing e messaggi ingannevoli? L’UE approva la legge che li contrasta

E’ finalmente passata, con il via libero definitivo del Parlamento europeo, la direttiva che punta a proteggere i consumatori da pratiche di commercializzazione ingannevoli e a supportare scelte di acquisto più consapevoli grazie ad etichettature più chiare ed affidabili.
Uno studio sul greenwashing pubblicato dalla Commissione europea nel 2020 ha rilevato che «Il 53,3% delle asserzioni ambientali esaminate nell’Ue erano vaghe, fuorvianti o infondate e che il 40% era del tutto infondato. La mancanza di norme comuni per le imprese che presentano autodichiarazioni ambientali volontarie apre la strada al greenwashing e crea condizioni di disparità nel mercato dell’UE, a scapito delle imprese realmente sostenibili»
Oltre al rischio di danni reputazionali e finanziari, il greenwashing è una pratica che porta a una perdita di fiducia dei consumatori nei confronti delle affermazioni ambientali delle aziende e, inoltre, riduce l'impatto del green marketing delle aziende virtuose.
Con l’approvazione della direttiva (593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni) il Parlamento europeo punta ora a migliorare l’etichettatura dei prodotti e vietare dichiarazioni ambientali generiche e fuorvianti.
L’elenco Ue delle pratiche commerciali scorrette, definito nella Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, viene infatti ampliato includendo anche una serie di dichiarazioni legate al “Greenwashing” o “ambientalismo di facciata” e all’obsolescenza precoce dei prodotti.
La direttiva prevede un elenco di pratiche sleali categoricamente vietate (Allegato 1) e una clausola generale (Art. 5.2) che vieta pratiche contrarie alla diligenza professionale che potrebbero influenzare significativamente le decisioni dei consumatori. Pertanto, quando si tratta di valutare se un green claim possa essere considerato ingannevole, è doveroso seguire i principi della direttiva 2005/29.

Dichiarazioni chiare ed attendibili
Sulla base delle disposizioni generali della direttiva, in particolare gli art. 6 e 7, le aziende devono presentare le loro dichiarazioni ambientali in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, al fine di assicurare che il consumatore non sia tratto in errore. E ancora, sulla base dell'articolo 12, devono disporre di prove a sostegno delle loro dichiarazioni ed essere pronte a fornirle alle autorità di vigilanza competenti in modo comprensibile qualora la dichiarazione fosse contestata.
Le nuove regole vietano le dichiarazioni ambientali generiche come, ad esempio, "rispettoso dell'ambiente", "amico del pianeta", "verde", "naturale", "a impatto zero" o "eco" se non supportate da prove affidabili. L'uso dei marchi di sostenibilità sarà regolamentato limitandone così la loro proliferazione e favorendo l’utilizzo di dati comparativi.
E’ infatti previsto che in futuro nell'Ue saranno ammessi solo marchi di sostenibilità fondati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche e saranno vietate le dichiarazioni che imboccano un impatto ambientale neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni (offset).
Riassumendo le principali novità della direttiva:
- Sarà vietato esibire un marchio di sostenibilità che non sia basato su un sistema di certificazione o non sia stabilito da autorità pubbliche
- Sarà proibito formulare una dichiarazione ambientale riguardante il prodotto nel suo complesso quando in realtà concerne soltanto un determinato aspetto.
- Sarà proibito esaltare come tipicità uniche dell’offerta aziendale requisiti che in realtà sono già imposti per legge.
- Sarà vietato utilizzare qualsiasi “generic environmental claim” per il quale non si possa dimostrare la relativa eccellenza della performance ambientale.
- Sarà vietato, solo sulla base di azioni di compensazione delle emissioni di gas serra, dichiarare che un prodotto ha un impatto neutro (“carbon neutral”)
- Sarà vietato omettere informazioni rilevanti sulla funzionalità del prodotto che riguardino le implicazioni degli aggiornamenti dei software, la durabilità dei beni, la riparabilità e l’utilizzo di materiali di consumo o accessori non originali.

La direttiva punta anche ad aumentare la sensibilità di produttori e consumatori in merito alla durata dei prodotti; le informazioni sulla garanzia dovranno avere maggiore visibilità ed è prevista la creazione di un nuovo marchio armonizzato finalizzato a dare più rilievo ai prodotti con un periodo di garanzia maggiormente esteso. Sono bandite anche le indicazioni infondate sulla durata (ad esempio, dichiarare che una lavatrice durerà per 5.000 cicli di lavaggio, se ciò non è esatto in condizioni normali), gli inviti a sostituire i beni di consumo prima del necessario (come spesso accade, ad esempio, con l’inchiostro delle stampanti) e le false dichiarazioni sulla riparabilità di un prodotto.
La direttiva, ricevuta l'approvazione definitiva anche del Consiglio, dovrà essere pubblicata nella Gazzetta ufficiale. Gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per adeguarsi alle nuove regole.





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